Come diventare counselor di sé stessi : strategie di vita metropolitana
DI PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA
La nostra personalità è fatta di tante parti come gli ingredienti di una torta e gli ingredienti a volte sono molto simili , infatti in questo caso è il dosaggio a cambiare il tipo di dolce che ne uscirà. Il pan di spagna, i muffin e i pancakes hanno gli stessi ingredienti, ma è la dose e il tipo di cottura a fare la differenza. Come diceva Paracelso è la dose che fa il veleno, così le nostre speciali caratteristiche che ci contraddistinguono, gestite in modo ossessivo oppure senza cura, diventano i nostri peggiori nemici.
Ero presa da tale riflessione quest’ultima settimana passata a trascinarmi tra lavoro, famiglia e impegni vari sotto un cielo come un coperchio, per citare una metafora cara a Baudelaire e una pioggia che non sai se tirare fuori la canoa o darti malata al lavoro. Fuori Blade Runner, dentro Morte a Venezia.
Quando mi prende male così, si apre una specie di portale interiore in cui sono investita da tutti i problemi dell’umanità e miei personali- che in confronto mi fanno sentire importante come un portapenne-e mi sembra che la vita sia un gioco cattivo e sadico. Ho reso l’dea? Forse avete notato un certo gusto per il tragico con inflessioni da eroina decadente da romanticismo tedesco di fine ‘800, purtroppo è un ingrediente della mia torta e me lo devo gestire.
Una parte di me mi massacra ridendo della mia debolezza, giudicandomi magari, mentre mi domando chissà chi è che parla. Chissà quale esperienza, quale persona di riferimento ha pronunciato certe parole che sono diventate i miei mantra infernali.
È a questo punto che mi viene in mente una cosa che inostri insegnanti (Andrea Boni) ci hanno inviato nel Manuale parte 2, le dispense del Corso di Counseling, che descrive l’auto-empatia.
Auto-empatia che parola strana… Di solito l’empatia è usata nelle relazioni, presuppone un rapporto io-tu. Ma “auto-empatia”, via , è una parola paradossale. D’altra parte noi lavoriamo con i paradossi. I nostri problemi interiori sono paradossali ed è proprio questa la sfida che ci attende: armonizzare i paradossi verso l’integrazione di tutto ciò che siamo. Armonizzare i vari sapori della nostra personalità …
“Conosci te stesso” è una bella frase, ma è anche un’esperienza piuttosto spiacevole, ricordiamolo ogni tanto quando la citiamo; ci vuole empatia con noi stessi, accettazione, pazienza e determinazione a raggiungere un obiettivo.
Noi non conosciamo davvero l’auto-empatia, perché passiamo da una giustificazione di noi stessi per auto-difenderci e auto-giustificarci a una sorta di auto-ironia, nei casi migliori. Non crediate che l’ironia sia così nobile. È sicuramente simpatica, ma è crudele. L’ironia è il contrario della compassione. È più intelligente e più brillante della compassione, ma è più spietata e più arida.
Quindi ripeto a me stessa: meno auto-ironia, più auto-empatia.
Torniamo alla strategia.
Prima cosa mi domando da brava aspirante counselor (visto che sono triste): cosa pensi di aver perso? Eviterò di rispondere a me stessa “la mia giovinezza” perché ho finito i kleenex e ho appena finito di truccarmi, ma a questo punto applico l’auto-empatia, ascolto me stessa, provo compassione e accettazione per quello che sono, ma faccio anche qualcosa per combattere il disordine che il senso di “perdita” genera in me. Di cosa si tratta? Applico alla mia abitudine noir , da fleur du mal, una nuova abitudine. Mi alzo la mattina e vedo dalla finestra vento e pioggia e invece di essere perplessa, benedico la pioggia. Non penso a nulla- tanto non serve- ma benedico ogni cosa incontri: il Suv parcheggiato in doppia fila, benedico l’anziano petulante, la signora arrogante, benedico la gente vociante, i colleghi maldicenti, benedico loro e tutta la loro stirpe. Benedico il mio pranzo , la mia famiglia, la mia auto che si ferma, gli assicuratori, le bollette scadute, … insomma a una semplice vita normale sostituisco una roboante, magnifica, potente benedizione andando oltre alla mia cinica auto-ironia e a questa mia abitudine ne sostituisco una nuova: auto-empatia.
Cambiare abitudini significa cambia la vita, non si possono cambiare gli ingredienti della torta, ma si può migliorare nel dosaggio e nella cottura, questo significa che bisogna lavorare con quello che troviamo nel frigo, non sognando altrove la nostra vita.
E poi un’ultima cosa, oltre a modificare le abitudini esistenti è necessario un altro fattore: bisogna “crederci”. Bisogna credere nel cambiamento e nel nostro potenziale.