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Il piano B contro il dolore

DI PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA E ANDREA BONI

Facciamo qui riferimento ad un articolo sulla Lettura, uscito come di consuetudine il sabato con il Corriere della Sera, su Sheryl Sandberg e il suo libro scritto insieme allo psicoterapeuta Adam Grant “Option B. Affrontare le difficoltà, costruire la resilienza e ritrovare la gioia”.

Sheryl Sandberg, la numero di due di Facebook, il direttore operativo, considerata da molti la donna più potente d’America, saluta il marito la notte del 1 maggio 2015 prima di andare a dormire, ma sarà per l’ultima volta, perché a causa di una cardiopatia congenita Bruce Goldberg, 47 anni, si accascia sul tapis roulant in corsa.

Il libro diventa un tentativo di accettare la disgrazia, lavorare su “un’opzione B”, farsi le domande giuste, trovare motivazioni per andare avanti e superare un’inattesa distruzione della propria autostima, in un momento simile in cui crolla la persona e tutti i suoi valori e si comincia a mettere in discussione come mamma e moglie. L’autrice spiega nell’intervista il suo senso dilagante di inadeguatezza nella sua vita, tutto diventava difficile: partecipare a una riunione, fare una telefonata, stare attenta quando qualcuno le parlava, rispettare un appuntamento. Un terrore che era entrato dappertutto.

Naturalmente ci siamo chiesti l’approccio del counselor in questo caso.

Nell’intervista la Sandberg prosegue dicendo che quando le capitava che un suo dipendente avesse un lutto, le sembrava gentile dire “prenditi tutto il tempo che vuoi”. Ma era sbagliato, risponde a sé stessa. La cosa che aiuta di più è sentire che gli altri credono in te, che hanno bisogno di te.

Un’altra frase da rivedere secondo l’autrice del saggio è: “se c’è qualcosa che posso fare dimmelo”. Questa non è una frase "empatica". Implica spostare l’onere sulla persona che stai cercando di aiutare, costringerlo a identificare di cosa ha bisogno. Questo è già uno step successivo, in quei momenti sono operazioni difficilissime, prima occorre “Dare empatia". Cosa significa “Dare empatia”? Il suo consiglio è semplicemente farsi vedere, esserci, noi diremmo anche ascoltare, porre domande per capire e facilitare la persona a capirsi, e così facendo entrare nel suo mondo interiore dal quale si sta allontanando.

Nel caso della Sandberg, ci troviamo di fronte a un comportamento che secondo gli stili comportamentali dell’Ayurveda sembrerebbe un pitta, una donna che si identificava prima con lo slogan "Lean In" (facciamoci avanti!) e ora dopo due anni dalla morte del marito, ci scrive un saggio, fa convegni, raccoglie storie di tutte le persone che hanno avuto una grave perdita, o lancia una piattaforma sul web per condividere storie, dare consigli su come affrontare i momenti bui ecc, con quell’attitudine tutta americana di trasformare successi e tragedie in lezioni per gli altri.

Ci siamo chiesti: come interagire con una persona che viene da noi per parlare del suo lutto, una persona con prevalenza di pitta? Qual è il modo giusto per parlare con lei? Innanzitutto occorre porre domande chiare, precise e circostanziate, per capire se lei è consapevole del suo stato emotivo. Ovvero, cosa prova rispetto alla morte improvvisa e prematura di suo marito? Una tipologia pitta ha difficoltà ad entrare in contatto con le sue emozioni, quindi immaginiamo che una persona così parlerà, forse piangerà, si arrabbierà terribilmente per questa sorte inammissibile. Potrebbe dare la colpa al destino, quindi tenderà ad esternalizzare. Forse si difenderà e non vorrà far vedere la sua vulnerabilità emotiva e si industrierà per fare qualcosa. Il counselor dovrebbe prima di tutto accogliere l’emozione, e se questa non arriva facilitare la persona ad entrare in contatto con il suo mondo interiore, con ciò che è vivo in lei, ciò che si muove dentro e che non sta ascoltando. Questa è una fase molto delicata, che chiamiamo di “connessione empatica”, ed è molto importante perché è quella che consente di stabilire un canale di fiducia reciproca. Troppo facile arrivare con definizioni e frasi preconfezionate, con “dogmi”, con insegnamenti che la persona potrebbe non essere ancora pronta ad accogliere, perché prima deve accogliere se stessa, osservarsi dentro, prendere contatto con il mondo emotivo che si muove dentro di lei; dopo che è avvenuta la connessione empatica, che la persona ha davvero preso contatto di ciò che è vivo in lei rispetto a ciò che è avvenuto, ed in questo caso verso il marito e la sua scomparsa, allora si che è possibile aiutarla a non pretendere troppo da sé stessa, aiutandola in un cammino di accettazione della realtà della perdita, della funzione evolutiva del dolore e nell’accettazione della propria umana fragilità emotiva, punto da cui si può ricominciare a camminare attraverso un percorso di ricostruzione e trasformazione interiore, da praticare anche attraverso i principi dello Yoga, della meditazione, della preghiera.


Letture Consigliate:
Marco Ferrini, L’arte di parlare con il cuore, edizioni CSB.
Marco Ferrini, La funzione evolutiva del dolore, edizioni CSB.