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L'ascolto empatico

DI PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA

Quando ho letto la prima volta "le otto montagne" di Piero Cognetti, prima che ricevesse il premio Strega, ho pensato che non ci fosse niente di più lontano dalla comunicazione empatica. Ma mi sbagliavo.

Le relazioni intrecciate in questo breve e potente romanzo riguardano da una parte quella di padre e figlio e poi due amici che sono legati da un legame speciale con la montagna.

Il protagonista in uno dei suoi viaggi in Nepal conosce un vecchio che gli racconta una storia:"al centro del mondo, noi diciamo che c'è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno al Sumeru ci sono otto montagne e otto mari. Questo è il mondo per noi. E diciamo: avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?"

Il protagonista alla fine risponde:"da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare, che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta in centro di tutte le altre, e all'inizio della propria storia, e che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico".

La comunicazione tra i protagonisti è scarna e onesta, non c'è un tentativo di capire a tutti i costi. Prevale la silenziosa presenza delle montagne, da quelle massiccie piemontesi, a quella immensa dell'Himalaya, fino a quella mitica del Sumeru. La montagna come luogo in cui cessano le parole e c'è bisogno di un altro tipo di empatia, fatta solo di ascolto. L'ascolto come attitudine essenziale per la sopravvivenza; un ascolto tranquillo che non è agitato dal bisogno di replicare. Un luogo come Vaikuntha, oltre alle ragioni umane, vicino ai cicli ancestrali.

Allora anche noi dovremo rispondere a quella domanda: abbiamo imparato di più nello stare centrati nella grande montagna o la ricerca di noi è dovuta passare lungo l'attraversamento di tutto il resto del mondo?