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Comunicare vuol dire prima ascoltare.

GENNAIO 2016 - FUNZIONI E METODI DELLA COMUNICAZIONE EMPATICA: INDIVIDUO, COUNSELOR E CLIENTE

Ho sbagliato a non fare questa relazione subito dopo il seminario, avrei potuto farla breve (come mi aveva suggerito Fabio), poco sostanziosa e nei tempi, che la mia complessa e impegnativa vita quotidiana mi permetteva, nella settimana successiva al seminario, visto che i due corsi erano così ravvicinati. Quindi rispondere a questa domanda, alla fine delle due relazioni diventa davvero destabilizzante. La risposta giusta a questa domanda dovrebbe essere riferita al seminario di gennaio, che confondo ed infondo in quello di febbraio. Un ricordo però ho chiaro del seminario di gennaio, che porterò a lungo nella mia memoria, che riguarda l’esercizio della catena. Ero tra le persone che, ignare, dovevano fare i riporti. Da quando sono stata scelta e fatta uscire dalla sala, fino al momento in cui mi sono seduta in quella sedia, davanti alla mia compagna che mi raccontava un fatto (già in fase di distorsione), che io ancora non sapevo che avrei dovuto riportare, il mio stato emotivo era in preda ad ogni mia dinamica di reazione (un piccolo bignami di tutti i miei bisogni, proiezioni, emozioni destabilizzanti). Ho potuto poi, durante la fase di osservazione del proseguire dell’esercizio con gli altri compagni, rimasti fuori, prendere atto, in termini quasi scioccanti, di ciò che stava accadendo. La distorsione, la cancellazione, la mancanza erano il prodotto perfetto ed inequivocabile di ogni singola proiezione dei nostri ego intrisi di paura, ansia, bisogni insoddisfatti e condizionamenti. Il fatto era solo percezione perché del fatto non era rimasto praticamente nulla di oggettivo. Nelle settimane successive ho faticato a riportare fatti alle persone del mio entourage quotidiano e a credere a ciò che mi veniva riportato. Ora a distanza di tempo tutto sta sfumando. Mai come ora ho chiaro che la vita autentica è possibile solo nel Sé, nello stesso tempo ho chiaro che la voce del Sé e la nostra relazione con esso, consapevole e presente, è un frammento piccolissimo di spazio e tempo e questo mi fa sentire triste e frustrata. L’altra sera una compagna di percorso si è complimentata con me per i miei progressi, io tendevo a sminuire e le sue parole sono state “tu vorresti tutto subito, datti tempo”. Vorrei che le illuminazioni durante i seminari, le realizzazioni nei momenti di preghiera e di meditazione, fossero permanenti e presenti sempre nella mia vita, e anche questo è ego. Credo veramente al percorso della via spirituale, intesa non necessariamente come religiosa, ma come connessione alla nostra parte divina, e al ritorno consapevole alla Casa del Padre. Vedere Dio, parlargli, incontrarlo, diventare a sua immagine e somiglianza. Il mio cuore esplode, è travolto da questo desiderio, e posso dire che esperienze mistiche e di connessione fanno parte della mia esistenza; la difficoltà è integrarle alla vita, farle accadere nel traffico, nella comunicazione violenta, nei problemi, nelle difficoltà. Far passare quel rivolo di amore attraverso l’aridità in cui è stratificata la mia personalità, perché possa rendere fecondo il terreno della mia evoluzione. Una voce mi suggerisce che sta già succedendo e che se procedo innaffiando la piantina dell’umiltà autentica, saprò distinguere la voce dell’ego da quella de Sé, la realizzazione autentica dal film, saprò cogliere nel male i giusti insegnamenti e nel bene la forza per continuare a salire i gradini evolutivi, perché in questa vita nulla ha valore se non la ricerca di ciò che siamo autenticamente. Questa parola, autentico, è una parola che ho assorbito dal Maestro e mi piace perché rende l’idea della verità vera. Sento che ho l’attitudine ad aiutare gli altri, anche se per il momento è opportuno che mi impegni nell’aiuto a me stessa per imparare a perdonare, a pregare, ad amare autenticamente.

Lucia, dalla Sede del Veneto