Anatomia del corpo sottile ed emozioni: riflessioni sul seminario di Aprile
Il seminario di aprile di formazione in Counseling apre un ciclo di incontri dedicati ad analizzare le caratteristiche ed il funzionamento del corpo pranico in generale ed dei centri energetici, detti chakra, in particolare.
Tale tema risulta infatti funzionale alla necessità di fornire conoscenze e strumenti adeguati per approfondire la conoscenza di se stessi e dell’altro.
Il seminario si è aperto richiamando l’imprescindibile necessità di approfondire la conoscenza di se stessi, per potere attivare un processo di cambiamento consapevole ed evolutivo. Il “conosci te stesso” è da considerarsi un imperativo categorico, per potere raggiungere la migliore versione di noi stessi e per raggiungere la vera felicità duratura. Si è richiamato il processo del cambiamento (slide “la danza del cambiamento”) che partendo dalla conoscenza (del propria struttura ontologica e dei propri condizionamenti, maschere e strutture), passa alla gestione delle risorse con la progettazione tesa al superamento degli ostacoli ed arriva alla fase finale del cambiamento/trasformazione, intesi come armonizzazione e sintesi verso un equilibrio superiore (in senso evolutivo, corrispondente ad un più elevato livello di coscienza).
La mancanza di conoscenza di se stessi e degli altri è la causa principale della sofferenza. A tale proposito è stato rivisitato il tema del dolore come stato generale che la persona sperimenta interiormente, dunque un sentire soggettivo, determinato da un evento traumatico e della sofferenza come conseguenza al dolore provato, dovuta alla mancanza o errata elaborazione del dolore stesso. Il dolore pertanto si caratterizza per una reazione ad un evento vissuto come traumatico, ma che la persona è in grado di metabolizzare e superare con un atteggiamento proattivo di speranza e fiducia nel divenire, situazione provata dai personaggi che Dante incontra nel “Purgatorio”. La sofferenza invece corrisponde all’atteggiamento psichico di chi non vede speranza alcuna, di chi si trova dannato all’interno di una bolla psichica distruttiva poiché non è in grado di contestualizzare l’accaduto e, a causa dei sui condizionamenti, non riesce a trovare una via di uscita. A questo proposito si è richiamato l’inferno psichico e coscienziale in cui versano i protagonisti dell’Inferno dantesco.
La mancata conoscenza di se stessi è dunque la causa primaria della sofferenza che nasce dall’incapacità di fare fronte agli eventi della vita con la giusta predisposizione ed attrezzatura, con la capacità di inserirli in una visione più ampia a livello universale e in una prospettiva di crescita e cammino evolutivo.
L’incapacità di dare un senso agli eventi condanna la persona alla sofferenza senza fine, per uscire dalla quale è necessario porre mano alla propria visione della vita: riscoprire il senso del vivere nel qui e ora, sperimentando la materia come opportunità di evoluzione, al fine di superare i limiti ed ascendere a livelli superiori di consapevolezza, fino a riscoprire la nostra natura ontologica di esseri spirituali, sat/cit/ananda, in eterna relazione d’Amore con Dio (a tale proposito si è richiamata la funzione evolutiva del dolore e l’effetto involutivo e tossico della sofferenza).
L’uscita dall’inferno coscienziale rappresentato dalla sofferenza può avvenire solo partendo da dove siamo: ecco che allora occorre capire chi siamo e come siamo strutturati. Non è possibile intraprendere nessun viaggio, a maggior ragione un viaggio di crescita spirituale, senza avere la corretta percezione del punto da cui si parte: se stessi come esseri incarnati.
A differenza di quanto viene affermato dalla scienza occidentale, ove si ritiene che il cervello generi il campo psichico e da esso derivi la coscienza, la scienza indovedica ribalta il paradigma affermando invece la preesistenza della coscienza, che a causa dei condizionamenti, determina un particolare campo psichico e la conseguente struttura organica. Dall’essenza spirituale, che a contatto della materia viene condizionata a livello di coscienza, si assiste a una progressiva conformazione delle struttura fisica, dai corpi più sottili fino a quello grossolano.
Alla luce di questa visione, le componenti della personalità possono essere elencate secondo il seguente ordine gerarchico, ovvero partendo dall’essenza profonda si passa agli elementi più esteriori e grossolani dell’essere incarnato, detto anche jiva bhuta (si veda il modello presentato nella slide “dall’Atman al corpo”):
- Atman
- Coscienza, cit
- coscienza condizionata, citta
- intelletto, buddhi
- mente, manas
- corpo energetico, chakra (prana)
- cervello (organo)
- corpo.
Il Jiva bhuta è costituito dall’essenza spirituale, atman (scintilla unica e speciale di natura divina, ontologicamente identica a Dio e tuttavia da Egli differente per potenza ed intensità, essendo infinitamente più piccola) e dalla componente materiale che lo riveste, la prakriti. Cit, è la coscienza pura ed è un attributo ontologico, insieme a sat, eternità, ananda, beatitudine, dell’atman.
Nel momento in cui l’atman rimane vittima dell’illusione della prakriti, la sua pura coscienza, cit, viene offuscata e le sue percezioni vengono distorte. La coscienza pertanto viene condizionata e per tale motivo viene definita citta. Nell’incarnazione come, noto, lo jiva verrà ricoperto dalla materia che si conformerà in un corpo particolare. Il corpo materiale è infatti costituito, per successivi stadi di condensazione, da:
- un corpo causale, karana sharira, il primo che si forma una volta che l’atman si incarna e che distorce la percezione di ananda;
- il corpo sottile, linga sharira, che rappresenta l’apparato psichico, costituito da energia sottile pur sempre materiale, che si specializza in citta, buddhi,ahamkara, manas, facoltà sensoriali, prana
- il corpo grossolano, detto sthula sharira, costiuito dal corpo fisico tangibile con i suoi organi e apparati, come ad esempio il sistema neurologico, il cervello.
Nell’Ayurveda la struttura della personalità viene descritta con un modello simile, in cui l’atman viene rivestito di successivi cinque involucri, detti pancha-kosha, di prakriti, che anche qui si differenziano per grado di condensazione e grossolanità della materia, da più sottile, quello più vicino al sé spirituale, al più denso, costituito dal corpo fisico tangibile.
Essi sono:
- annamaya kosha , ovvero la struttura fisica determinata da anna, ovvero il cibo;
- pranomayakosha, ovvero la struttura determinata dal prana, l’energia vitale che permea l’Universo e tutto ciò che in esso si è manifestato;
- manomayakosha, ovvero il campo mentale, costituito da manas, la mente che raccoglie, smista ed elabora i dati derivanti dalle percezione dei sensi, con i quali l’individuo interagisce con il mondo;
- vijnanamayakosha, ovvero il campo intellettivo, avente la funzione discernente ovvero capacità di ragionamento, deduzione, valutazione del soggetto;
- anandamayakosha, ove ananda (la beatitudine) ne è la costituente essenziale, sede del desiderio che viene percepito in modo distorto per il contatto con la prakriti.
La conformazione della personalità dipende non solo dai guna, ma anche dal karma e dalle vasana ereditate dalle precedenti incarnazioni. Citta infatti è la coscienza condizionata è sede del karmashaya, ove vengono depositate tutte le memorie passate generatrici di samskara e vasana, fortemente condizionanti. A tale proposito si richiamano i cinque macro condizionamenti, klesha, che Patanjali individua in avidya (mancanza di conoscenza della propria natura spirituale, primo dei condizionamenti a formarsi dal contatto con la materia e da cui discendono tutti gli altri), asmita (identificazione con la personalità storica) raga (attrazione), dvesha (repulsione), abhinivesha (paura della morte) (cfr. Y.S., Sadhana pada, 3 ).
Ed invero, dalle caratteristiche di citta deriverà la conseguente struttura psichica e fisica del corpo incarnato, dai pensieri ai neuroni.
Per effetto del contenuto di citta si determinerà la struttura dell’intelletto, buddhi, che esercita la facoltà discernente e di pensiero. Per successione dalla buddhi seguirà la percezione dell’ego storico, ovvero la falsa percezione del sé, detto anche ahamkara (lett. “io sono colui che fa”) e da questa manas, ovvero la mente ed il sistema sensoriale. Manas raccoglie e smista le informazioni che pervengono dalle vie sensoriali. Tale percezione è ovviamente fortemente condizionata dalla particolare composizione guno karmika e dall’azione di samskara e vritti che derivano dall’inconscio.
La cerniera tra l’essenza spirituale, il corpo sottile e il corpo grossolano è costituita dal corpo pranico, anch’esso facente parte della linga sharira, che si sostanzia nelle cinque arie vitali (prana, apana, udana, vyana, samana), veicolate nel corpo. Il prana all’interno del corpo ne consente il funzionamento, non a caso viene spesso definito il soffio vitale: con la fuoriuscita di tutto il prana dal corpo si verifica la morte.
Le energie praniche, che vengono utilizzate per vivere nel mondo materiale, sono attinte dall’energia universale, anch’essa detta Prana (con la “P” maiuscola, proprio ad indicare l’energia generatrice di cui il prana è una manifestazione a livello della manifestazione fisica). Attraverso il respiro, tale energia viene fatta penetrare nel corpo, e scorre attraverso canali energetici (di materia sottile e non tangibile) detti nadi, il principale dei quali è la sushumna posta lungo la colonna vertebrale dal sacro alla sommità del capo. Altri due importanti nadi sono Ida e Pingala, che tradizionalmente vengono rappresentate con forma elicoidale, una ascendente e l’altra discendente, lungo la sushamna nadi. Il prana viene indirizzato ai centri energetici, detti marma, che sono numerosi, disposti in tutto il corpo, e costituiscono delle centraline energetiche con la funzione di distribuire energia a tutte le parti del corpo sottile e grossolano per il suo funzionamento.
Attraverso di queste il corpo fisico e psichico comunicano e traggono l’energia per funzionare. Ad ogni marma pertanto è ricollegabile il funzionamento di una parte corrispondente del corpo sottile e grossolano. I marma più potenti si trovano collocati lungo la colonna vertebrale e sono detti chakra, da questi il prana, che entra nel corpo, viene ridistribuito in tutto l’organismo, ai marma secondari. I chakra sono 7: muladhara, svadisthana, manipura, anahata, vishuddha, ajna, sahasrara. Sono perciò i chakra che sostanzialmente presiedono al funzionamento del corpo a livello bioenergetico, psichico e fisiologico; presiedono al funzionamento degli organi, al funzionamento della psiche e alla percezione dei desideri e dei bisogni che si situano a livello di citta, e dei desideri spirituali che si situano a livello di coscienza non condizionata e che vengono distorti dal contatto con la materia. I sette chakra esercitano un’influenza diretta sull’attività endocrina. Sono direttamente connessi alla produzione ormonale, (ormone dal greco “mettere in movimento”), e dunque presiedono al funzionamento degli ormoni, informatori biochimici che trasmettono informazioni da una cellula (o gruppo di cellule) ad un’altra cellula (o gruppo di cellule), provocando una risposta inibitoria o stimolante degli organi.
I chakra sono disposti in modo tale da garantire un contemporaneo collegamento tra cielo e terra, vale a dire tra le energie della materia e le energie spirituali: dal più basso, muladhara, posto a livello del perineo, a cui corrispondono i bisogni fisiologici primari, si sale progressivamente verso energie più sottili per arrivare al settimo chakra, sahasrara, che apre alla spiritualità. L’equilibrio di ciascun chakra corrisponde a un’ottima salute olistica, vale a dire su tutti i piani fisico, psichico e spirituale.
Dal corpo pranico infine si passa al corpo fisico, sthula sharira: il corpo fisico tangibile, in primis il cervello, inteso nella sua triplice forma encefalo, cuore e intestino. Cuore ed intestino vengono considerati anch’essi facenti parte del sistema neurologico in quanto anch’essi dotati di neuroni. La struttura fisica pertanto è la manifestazione esteriore e grossolana della coscienza condizionata e della composizione guno karmika. Rappresenta l’agglomerato più esteriore ed è conseguenza e non causa della coscienza condizionata.
Dalla disamina della struttura dell’essere incarnato si comprende che tutto dipende dal contenuto di citta, ovvero dal suo contenuto informazionale: per ottenere una reale trasformazione occorre pertanto agire a questo livello, prendendo coscienza delle informazioni errate e disfunzionali e provvedere a rettificarle e sostituirle con informazioni nuove, più sane e in armonia con il percorso evolutivo.
Per fare questo processo è necessario tuttavia accedere al contenuto di citta e quindi procedere ad un lavoro di conoscenza interiore, che può partire dai sintomi disfunzionali che si presentano nei corpi più superficiali e che costituiscono il sintomo del condizionamento, per procedere interiormente fino ad arrivare al contenuto della coscienza che è disfunzionale. È un processo a ritroso, di cui parla Patanjali negli Y. S. Sadhana Pada, X, “I klesha sono di natura sottile; è possibile abbandonarli attraverso un processo a ritroso”, che parte dal sintomo, ad esempio dolore fisico, identifica il chakra non in armonia, lo stato emozionale sotteso, il bisogno non espresso, il desiderio sotteso, il condizionamento che distorce il desiderio.
Il lavoro e lo studio dei chakra pertanto va contestualizzato nell’ambito del processo di purificazione e decondizionamento della coscienza. L’azione di semplice armonizzazione dei chakra, che sembra essere oggetto di molte pratiche newage, conferisce un beneficio limitato e non duraturo se non accompagnato da un intervento volto a rimuovere la causa della disarmonia, ovvero se l’intervento non avviene a livello di citta. L’armonizzazione fine a se stessa, oltre che ad essere transitoria può essere altresì dannosa poiché può costituire una via di fuga, un facile espediente per evitare di entrare nelle profondo della propria interiorità e prendere la responsabilità del proprio cambiamento.
Nell’ambito del counseling, lo studio dei chakra viene approfondito con particolare riferimento alle interconnessioni con emozioni, bisogni e desideri. In particolare, per la materia che qui ci interessa, è stato possibile vedere una correlazione tra la piramide dei bisogni di Maslow e il sistema dei chakra, tra i bisogni espressi in campo fisico, spichico-sociale e spirituale da parte dell’individuo ed il relativo chakra di riferimento. È così possibile dedurre dai bisogni espressi dalla persona, il chakra che non appare in equilibrio e vedere altresì i condizionamenti attivi.
Lo psicoterapeuta Abraham Maslow ha elaborato uno schema definito “la piramide dei bisogni” che distribuisce in modo gerarchico e piramidale i bisogni dell’individuo, partendo dalla base con i bisogni fisiologici legati alla sopravvivenza (cibo, riparo/protezione, sonno), per arrivare alla vetta, rappresentata dai bisogni più evoluti come quello di autorealizzazione e spiritualità
Questa piramide con tutte le sue caratterizzazioni permette di prendere consapevolezza delle nostre necessità, tenendo conto del fatto che secondo Maslow non si può passare da un gradino all’altro senza aver prima soddisfatto il bisogno sottostante, pena una scissione della propria individualità. Per questo lo scopo è quello di creare un lavoro di armonizzazione tra le varie componenti della scala piramidale: solo così è possibile avere una persona equilibrata in grado di ascende ai livelli più alti di coscienza.
Conoscere i bisogni consente di attuare una progettualità di gestione: ovvero una soddisfazione/ trasformazione e sublimazione. La soddisfazione dei bisogni occorre che avvenga su di una piattaforma etica, vale a dire in conformità al Dharma. Nella scienza dello Yoga le linee etiche di comportamento sono dettate dalle astensioni, yama, e prescrizioni niyama, che costituiscono la prima fase del percorso di realizzazione delineato dal Patanjali (cfr. Y.S., sadhana pada, sutra 30 e 33).
Nella tradizione in cui si opera infatti, la soddisfazione del bisogno, e del desiderio sotteso, anche se di natura materiale è considerato uno degli stadi necessari del processo evolutivo e della realizzazione spirituale, con il conseguente raggiungimento di moksha, ovvero la liberazione. L’esperienza incarnata è un cammino verso l’amore e l’evoluzione avviene attraverso il perseguimento successivo ed integrato di quattro fini “artha”:
- Dharma: la conoscenza del dharma, delle leggi etiche universali, dell’ordine cosmico in cui siamo inseriti.
- Artha: obiettivi, anche materiali, che si vogliono raggiungere, come ad esempio la prosperità econimica, la famiglia, la carriera. Tutti fini appartenenti all’esperienza terrena che tuttavia se vissuti nel dharma e quindi nella prospettiva evolutiva, contribuiscono a fare emergere i desideri più elevati di ricerca e realizzazione spirituale.
- Kama: desiderio, non soltanto di natura sessuale, ma inteso in senso più ampio come passione che può essere di varia natura da quella più materiale a quella più spirituale;
- Moksha: liberazione, con superamento dei condizionamenti e superamento dei desideri materiali.
Si può così sintetizzare questo processo: conoscendo il dharma, prefissati degli obiettivi di natura materiale (artha), avendo dei bisogni e dei desideri (kama), li soddisfo nel dharma al fine di raggiungere moksha.
La crescita infatti non avviene attraverso la repressione di bisogni o desideri, ma nella loro realizzazione nel dharma, in accordo con i suoi valori. Anche i bisogni che risultino a-dharmici, ovvero fuori del dharma, non vanno nascosti, seppelliti nell’inconscio, ma anch’essi conosciuti, compresi e dunque sublimati e trascesi. La condotta dharmika è evolutiva, in quanto tutto l’universo è teso all’evoluzione. Il comportamento in conflitto con i valori universali porta ad accumulare sofferenza e condizionamento che determinerà il permanere nel ciclo samsarico, di nascita/morte.
Parlando di “uomo tra cielo e terra” Marco Ferrini ha sottolineato come non sia possibile l’apertura e la crescita spirituale se non c’è armonizzazione ed equilibrio nelle cose pratiche della vita, così come le cose pratiche della vita al tempo stesso vadano vissute nella prospettiva spirituale, del divino, al fine di sviluppare energie più sottili che facilitino l’evoluzione coscienziale: solo così è possibile vivere unificati in modo davvero autentico, ed evitare pericolose e dannose scissioni della personalità (il richiamo all’equilibrio è costante negli insegnamenti della B.G., VI, 16 e ss.).
Si comprende pertanto come anche con riferimento al corpo pranico sia necessaria l’armonizzazione di tutti i sette chakra, non solo per la perfetta salute olistica, ma anche per consentire di vivere nella prospettiva del cammino spirituale.
Si può lavorare sull’armonizzazione dei chakra con differenti strumenti, come la visualizzazione meditativa, la meditazione e il canto di mantra. Tutte queste tecniche infatti permettono di attivare l’osservatore interno, che può prendere atto del disfunzionamento e scendere nel profondo al fine di individuarne la causa scatenante. La comunicazione non violenta (CNV) è uno strumento che aiuta l’armonizzazione dei chakra non solo quello che apparirebbe più ricollegabile ad essa, ovvero il V chakra della gola, ma anche quelli inferiori, in quanto si richiede una profonda centratura, per prendersi la responsabilità del proprio sentire, dei bisogni che chiedono di essere soddisfatti e per comunicare in modo corretto con giuste parole.
Il seminario di aprile si è quindi focalizzato sullo studio dei primi due chakra: il muladhara (detto anche chakra della radice) e il svadhishtana chakra, con particolare attenzione alle emozioni di base ad essi legati e per il cui approfondimento si rimanda alla successiva trattazione.