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Chi ha tradito? Chi è stato tradito? Cosa è stato tradito?

Il tema del tradimento è spinoso e riguarda un po’ tutti, perché ha svariate sfumature che abbracciano molti ambiti della vita umana. Di primo acchito non mi sembrava di essere all’altezza di affrontare un tale argomento all’interno dei webinar del percorso di formazione in Counseling del Centro Studi Bhaktivedanta poi, riflettendoci, ho osservato che la vita mi ha permesso di maturare una discreta esperienza in materia, visto che personalmente ho vissuto un tradimento, l’ho attraversato, versandoci anche molte lacrime. Vero è che nella vita nulla arriva per danneggiarci, ma ci offre l’opportunità di apportare cambiamenti, per avanzare nella crescita umana e spirituale.

Cosa significa la parola tradimento? Il dizionario Treccani offre questa spiegazione:

“L’atto e il fatto di venire meno a un dovere o a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà: commettere un t., macchiarsi di un t. infamante; t. di un’idea, di una causa, dei compagni di lotta, di un amico; con particolare riferimento al dovere o all’impegno di essere fedele al coniuge o alla persona cui si è uniti da un rapporto d’amore e d’affetto: il loro matrimonio è fallito, pare per i continui t. del marito. In diritto, tradimento, reato di vario tipo (aiuto al nemico, lotta armata contro il proprio stato, intelligenza con il nemico, ecc.) previsto dal codice penale militare: condannare alla fucilazione per t.; alto t, nel diritto costituzionale italiano, delitto proprio del presidente della Repubblica (unitamente all’attentato alla Costituzione), per il quale egli può essere posto in stato di accusa dal Parlamento riunito in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. 2. Azione delittuosa o dannosa compiuta, mascherando le proprie intenzioni, contro persone o istituti che hanno fondato motivo di fidarsi. È usato soprattutto nella locuz. avv. a tradimento: la città fu presa a t.; lo uccisero a t.; gli si avvicinò furtivamente e lo colpì a t., alle spalle; nell’uso fam.: mangiare il pane a t., vivere a spese d’altri, sulle spalle altrui, senza lavorare; fare una domanda a t., nel momento o su un argomento che l’altro non si aspettava.”

Possiamo dedurre da quanto specifica il dizionario, che il tradimento ha molte accezioni e lo possiamo configurare nelle relazioni tra coniugi, verso la patria, un’amicizia, un proprio benefattore, un parente, in un atto manipolatorio, ecc.

Chi mi conosce, sa che amo le storie, da quelle letterarie a quelle che ascolto con emozione dai miei clienti, ed è proprio attraverso le narrazioni che possiamo sviluppare nuove consapevolezze e nuove esperienze.

In letteratura troviamo un’infinità di racconti che parlano di tradimento, per fare qualche esempio famoso: nella Commedia di Dante troviamo la vicenda di Paolo e Francesca, altro noto tradimento quello di Bruto e Cassio verso Cesare, Giuda che per trenta denari fa arrestare Gesù, e poi ci potremo mettere le storie di tutti noi dove, chi più o chi meno, possiamo aver subito o perpetrato qualche tradimento.

Tuttavia la prima cosa da chiedersi è: chi è che tradisce? Chi si sente tradito? Cosa è stato tradito?

Una volta che realizziamo queste risposte, che poi si riducono a una, per forza di cose abbiamo iniziato il primo passo verso il processo che ci porta al perdono.

Vero è che per realizzare le risposte a quelle domande è necessario mettersi sinceramente in cammino con se stessi, perché solo se ci prendiamo la responsabilità della nostra vita e di ogni nostra azione, possiamo trasformare ciò che ci fa soffrire in un’esperienza evolutiva. Altrimenti, restiamo come “Paolo e Francesca” nel nostro personale girone infernale.

La scienza dello Yoga in tal senso ci offre una risposta molto chiara: chi tradisce, chi si sente tradito e chi è stato tradito, non amato, non visto, non considerato è il nostro ego, l’io storico e condizionato, ahamkara, che teme di perdere, fuor di ogni ragione il suo controllo, la sua supremazia.

È anche vero che noi non siamo il nostro ego, noi siamo altro, siamo sé, atman, spirito, e le qualità intrinseche del sé, dell’anima, sono sat, cit e ananda: eternità, coscienza e beatitudine. Se ogni persona fosse centrata e stabile nel sé saprebbe vedere il tradimento con il giusto distacco, mettendo subito in atto una serie di osservazioni e azioni che agevolano a gestire il vortice della rabbia e di una sofferenza indicibile.

Il Maestro Marco Ferrini nel suo testo “Tradimento Rancore e Perdono” scrive: “Sentimenti di invidia, gelosia, rancore e risentimento non sono mai provocati dagli altri, dagli eventi e dalle circostanze, ma dalla nostra risposta emotiva. Solo noi abbiamo il potere su di essi, e possiamo controllarli se ci convinciamo fermamente che risentimento, rancore e auto-commiserazione non conducono alla felicità e al successo, ma alla sconfitta e all’infelicità.”

Il Maestro Ferrini ci fa capire che noi abbiamo il potere di cambiare la nostra sorte fin da subito, gestendo in modo evoluto le nostre risposte emotive.

Se ci fosse questa consapevolezza, molte storie di tradimento sarebbero state diverse, perché la rabbia non avrebbe preso il sopravvento e non saremmo stati testimoni di orribili vendette che hanno fatto storia dall’antichità ai giorni nostri.

È naturale sentirsi arrabbiati quando si vive un tradimento, la rabbia si manifesta perché qualcosa si è rotto, rispetto ad un patto che si era sancito; la fiducia è venuta meno e questo ostacola nel raggiungimento di uno scopo e lo scopo ultimo è sempre la felicità.

Cosa fa sì che la rabbia porti immensi guai?

L’attaccamento affettivo e l’incapacità di gestire l’emozione, le quali innescano dinamiche che portano lontano da noi stessi e sviluppano difese, prima fra tutte l’esternalizzare, ossia riversare sempre la responsabilità sull’altro. Questo non significa che se l’altro ha commesso delle azioni deplorevoli dovremo giustificarlo. Sarà utile comprendere le motivazioni, avere dati oggettivi su cui confrontarsi, ed è importante che entrambe le parti si assumano le rispettive responsabilità, il che implica mettersi in gioco e prendere in considerazione che anche noi stessi potremmo avere in qualche forma contribuito a quel tradimento.

Quindi per arrivare al perdono è necessario guardarsi dentro, assumersi le proprie responsabilità e lavorare su di sé.

Il perdono come dice la parola stessa è la perfezione del dono, che si offre sia agli altri che a se stessi e permette di liberarsi dalla sofferenza, da relazioni dis-ecologiche che corrodono lentamente e in modo letale, il tradimento annienta e rende prigionieri.

Basti pensare alla storia di Medea e Giasone. Per vendetta rispetto al tradimento subito, Medea ha perpetrato un massacro, perché Giasone doveva soffrire più di quanto stava soffrendo lei. Eppure lei è stata sua complice in inganni che dovevano punire altri ingannatori. Una storia che racconta di tradimenti sotto varie sfumature, tuttavia nessuno si assume la responsabilità del male che ha indotto, c’è sempre una giustificazione.

Leggendo la storia di Medea ho osservato che in preda alla rabbia anche io sono stata un po’ come lei, che accecata dal dolore ha urlato tutto ciò che aveva dentro sull’altro, ma a cosa è servito? A niente, perché non ne esce vincitore nessuno, anzi chi è in preda alla rabbia con il desiderio di rivalsa, si ritrova poi svuotato, senza energia, in uno stato di angoscia che sfocia in azioni deplorevoli.

Dante nella Commedia, per far riflettere i suoi lettori, offre la storia di due donne che mette in parallelo nel canto V dell’Inferno e del Purgatorio. Le mette si può dire sullo stesso piano per portare l’attento lettore a osservare una differenza davvero peculiare. Francesca da Rimini la troviamo nel V canto dell’Inferno nel girone dei lussuriosi, a farsi travolgere e vorticare in un vento impetuoso, perché galeotto fu il libro e la storia che lesse, che la portò a tradire il marito. In quell’atteggiamento di giustificazione non si assunse mai la responsabilità del suo tradimento.

Diversamente nel V canto del Purgatorio, nella sua ultima terzina, Dante fa parlare Pia De Tolomei, perita di morte violenta per mano del marito che la gettò da una torre perché desiderava essere libero per vivere con la sua amante; in quelle poche e magistrali parole Pia racconta a Dante la sua storia sotto una luce diversa, la luce del perdono, che porta oltre gli accadimenti e si sofferma solo a trattenere il bene. Lei è consapevole di come è stata uccisa, vero è che ha saputo andare oltre al gesto subito, soffermandosi solo sul bello che quella relazione ha rappresentato: il ricordo del giorno del suo matrimonio, quando il marito le mette l’anello al dito.

In purgatorio le anime fanno un cammino di consapevolezza e purificazione, la misericordia di Dio apre le porte di quel luogo a tutti coloro che, anche all’ultimo secondo della loro esistenza, palesano nel cuore il pentimento per le azioni commesse. Nel purgatorio non ci sono grida e stridor di denti, le anime avanzano nel cammino cantando, con lietezza e compassione, verso l’empireo ciel.

Per cui se Dio è così misericordioso, lo possiamo essere anche noi, mettendoci con umiltà in cammino verso il perdono, chiudendo i cerchi, liberando noi stessi da catene relazionali che non hanno più senso di esistere.

L’orgoglio è una brutta bestia, e siamo qua, in questa vita, per superare i nostri umani limiti, per avere un’ulteriore possibilità di riscatto. Personalmente devo ringraziare la domanda che il counselor che mi accompagnò in quel triste periodo della mia vita mi offrì da stimolo, mentre affondavo in una palude di lamenti e vittimismo:

“Quanto vuoi continuare a sbattere come una mosca addosso al vetro, quando potresti volare libera perché la finestra lì vicino è aperta?”.

Quella domanda fu uno schiaffo benevolo, che mi svegliò dall’intorpedimento che vivevo e mi permise di riflettere molto sulle pretese che avanzavo verso risposte che non era scontato arrivassero e mi agevolò a osservare me stessa da ulteriori prospettive, dove vidi le mie responsabilità, me ne presi carico per poter finalmente lasciare andare.

Sono riuscita poi a trovare la finestra aperta e ora desidero ricordare solo il bene che c’è stato, perché ce n’è stato molto, e ho fiducia che possa essere così anche per voi.


Alessandra Corà