Esercizi di trasformazione spirituale - Seconda parte | Due mantra potenzianti
L’essere vivente, il jiva, anche se si percepisce come un’entità a sé stante, separata delle altre, è in realtà parte inscindibile di un Uno, della natura, strettamente collegato a Creatore, creato, creature. È espressione e parte di una coscienza onnipervadente.
In virtù di una società e di una scienza che dichiara di promuovere lo sviluppo dell’essere umano, in realtà il soggetto ha smarrito la sua essenza, si è impoverito intellettualmente, culturalmente e soprattutto spiritualmente, ha smarrito il suo senso di appartenenza all’Uno, di cui è parte integrante, identificandosi così con pensieri, emozioni, sviluppando sempre di più “ego” (ahamkara), che porta a manipolare, sopraffare, oppure a rannicchiarsi in una dimensione di uomo/donna ostrica, chiuso dentro se stesso in paure, complessi di colpa, giudizi colpevolizzanti.
La trasformazione della mente biografica, quella dell’io empirico, alla quiete mentale, ossia la riduzione dell’attività cognitiva del rumore interno cognitivo e ego-centrato, attraverso la presenza mentale ed esercizi di consapevolezza emozionale, è finalizzato allo scopo di generare stati di coerenza che favoriscano la riconnessione con il sé profondo, la coscienza che tutto pervade. Più si pratica questo esercizio più si sviluppa la capacità dell’io osservatore, riducendo la sudditanza dall’io empirico, l’ego. Il dominio dell’ego sui sensi, come detto, annebbia e interrompe il flusso con il livello coscienziale profondo e lo restringe alla forma più semplificata di coscienza condizionata e di mente biografica, che assurgono ad uniche manifestazioni mentali.
In questo senso la pratica meditativa non solo aiuta a reagire meglio agli eventi e a prendere distanza dall’ego, ma fornisce anche determinazione a raggiungere i propri obiettivi.
Tra le pratiche meditative, o esercizi spirituali, possiamo includere quello dei mantra potenzianti, che desidero condividere in questo articolo.
I due sistemi filosofici di pensiero (shad-darshana) più importanti nel contesto della letteratura vedico-vaishnava, lo yoga-darshana ed il vedanta-darshana, propongono due mantra potenzianti straordinariamente efficaci quando inseriti all’interno di un contesto meditativo giornaliero. Sono come dei pensieri motivanti-potenzianti per porsi in una nuova prospettiva di evoluzione della coscienza e della consapevolezza, gli unici che possano dare una risposta concreta alle sofferenze della vita materiale.
Cosa sono i pensieri potenzianti? Sono affermazioni brevi, che hanno un valore motivante, ingiuntivo, esprimono una “intenzionalità”, un atto volitivo che porta verso la realizzazione di un cambiamento sostanziale del proprio modo di percepire il mondo. L’intenzionalità esprime un atto creativo: ognuno di noi ha la potenzialità di costruire il proprio mondo interiore, ed in parte anche quello esteriore. Questa affermazione può trovare una sua validità nelle Upanishad (“tutto quello che c’é dentro al tuo cuore lo puoi trovare anche fuori, nell’universo”, “l’uomo è costituito di volontà, così come è la sua volontà è la sua realtà, il suo mondo”) e anche nello Yoga di Patanjali.
Benedetto Croce afferma:
“La maggior parte dei professori ha definitivamente corredato il loro cervello come una casa nella quale si conti di passare comodamente tutto il resto della vita. Ad ogni minimo accenno di dubbio vi diventano nemici velenosissimi, presi da una folle paura di dover ripensare il già pensato e doversi rimettere al lavoro. Per salvare dalla morte le loro idee preferiscono consacrarsi, essi, alla morte dell’intelletto”.
In questa citazione osserviamo come spesso l’essere umano si trovi vittima di modelli di pensiero, strutture mentali dalle quali non ne esce se non attraverso uno sforzo per costruire un nuovo modello rappresentativo interiore. Per questo occorre un atto di intenzionalità.
Una donna chiese a Mozart: “Maestro, come fa a comporre brani così straordinari tutti di getto, senza mai compiere errori?”. Mozart rispose qualcosa come: “Il problema non è la composizione. Il problema è connettersi con il luogo dove la composizione esiste già. Io mi limito a trascrivere”.
In questa interessante citazione osserviamo la necessità di fare esercizio per imparare ad accedere ad un “luogo” fuori dallo spazio tempo, dove tutto già esiste. Per accedere a quel luogo è necessario astrarsi da processi logico-razionali, convinzioni radicate, processi ripetitivi, ossessioni, narcisismi, paure, tristezze e depressioni, per arrivare là dove tutto già c’é.
Rimanere sul piano della struttura mentale che ha generato il problema non facilita la persona a venire fuori da quel problema. Occorre posizionarsi su un altro piano. Offrire contributi, modificare prospettive, anche emotive e di pensiero.
Per questo un esercizio spirituale è costituito dal costruire i propri “pensieri potenzianti”.
Oggi abbiamo davvero bisogno di affermazioni potenzianti per cambiare il nostro mondo interiore e così la modalità con la quale ci rapportiamo all’esterno. Come conseguenza potremo davvero cambiare il mondo.
Il primo mantra che desidero proporvi è quella dello Yoga-Darshana. Un vero e proprio invito alla “pratica” dello Yoga, naturalmente inteso come sistema filosofico-psicologico, che abbraccia l’aspetto etico-morale ed il lavoro sul controllo e la trasformazione della mente, per trovare l’unione (Yoga, appunto) con Dio (Adi-Purusha). L’insegnamento di Patanjali, così inizia la sua ispirante opera nota come “Yogasutra”, recita:
atha yoganushasanam
atha: ora, in questo momento [propizio di transizione]; yoga: [dello] Yoga;
anu: nell’ambito di [una tradizione];
shasanam: insegnamenti, disciplina.
Traduzione:
“Ora [in questo momento propizio di transizione, secondo la tradizione, inizia] l’insegnamento conclusivo dello Yoga “. (Traduzione tratta dal Testo “Psicologia dello Yoga” di Marco Ferrini).
È un incoraggiamento ad intraprendere un viaggio dentro se stessi, per scoprire il vero volto della nostra personalità, giungendo quindi alla sorgente dell’ispirazione, della creatività e dell’intenzionalità, quella che crea la realtà. Un viaggio, naturalmente, dentro la dimensione della coscienza e quindi anche nella zona ombra, nell’inferno dantesco, per riconoscere, accogliere e trasformare, sanare, curare quelle emozioni profondamente radicate (samskara) che originano sofferenza ed incapacità di dare un senso agli eventi della vita.
Il secondo mantra arriva invece dal Vedanta-darshana di Badarayana Vedavyasa, straordinario Adi-Guru della tradizione Vedica, che attraverso un meticoloso lavoro ha sistematizzato il pensiero upanishadico all’interno dell’Opera nota com brahmasutra o vedantasutra.
L’inizio è di straordinario impatto emotivo-emozionale:
athato brahma-jijnasa
atha – ora, atah – ordunque, brahma-jijnasa – la ricerca del Brahman
Traduzione:
Ordunque [intraprendiamo] la ricerca sul Brahman
Un incoraggiamento ad intraprendere la conoscenza di Dio, della nostra vera dimensione eterna, infiniti frammenti divini, incapsulati all’interno di un coropo materiale, che hanno dimenticato l’origine, la Realtà:
Bhagavad-gita, Cap. XV, verso 7:
mamaivamsho jiva-loke
jiva-bhutah sanatanah
manah-shashthanindriyani
prakriti-sthani karshati
“Gli esseri viventi, in questo mondo di condizioni, sono Miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente”.
Da questi due “inizi”, dello yogasutra e del vedantasutra, siamo quindi ispirati a compiere un viaggio, l’unico che possa consentirci di attraversare gli eventi, anche tragici, con consapevolezza ed orizzonte di senso.
“Non è l’uomo a salvare se stesso, ma è l’abbandono alla forza salvifica di Dio che libera l’uomo. L’uomo può preparare solo il campo, il passaggio ultimo e quello più significativo è sempre caratterizzato dall’abbandono fiducioso, dal lasciar agire la grazia di Dio” (tratto da “Meditazione”, di Axel Bayer, Edizioni Appunti di viaggio).
Andrea Boni