Le fasi superiori dello Yoga: verso una migliore consapevolezza
Dharana, dhyana e samadhi secondo Patanjali sono le tre fasi superiori, dette anche “interne” (antaranga) dell’Ashtanga Yoga o “Yoga in 8 fasi”.
Mentre dharana (concentrazione) è un passaggio raggiungibile da tutti, seppur in tempi diversi e con continua applicazione, a seguito di un atto della propria volontà, per entrare in dhyana è necessario attendere una maturazione, un esito a cui si perviene in via del tutto naturale attraverso la pratica costante.
Questo processo è concomitante al processo che va sotto il nome di samapatti, ne segna l'inizio ed è ancor più evidente nel passaggio che evolve dhyana in samadhi.
Alambana (oggetti di natura grossolana o sottile cui la mente possa riferirsi) si assume al livello di dharana; al livello di dhyana, acquietata la mente, sorge la coscienza che penetra, per una sua disposizione naturale, l'oggetto meditato dando così inizio al processo noto come samapatti (trasmutazione, fusione ed anche sintesi).
“Quando le vritti sono sotto controllo, come un cristallo trasparente assume la colorazione di ciò su cui poggia, si ha la sintesi di conoscente, conoscenza e conosciuto. Ciò è chiamato samapatti”. Sutra XLI
Il significato di samapattih potrebbe essere esteso anche a ‘competenza, capacità di ottenere quella struttura psichica’.
In una ulteriore evoluzione dhyana sbocca in samadhi e la coscienza si muove dal primo samadhi via via negli altri, come di chi volendo occupare lo spazio di un contenitore debba prima necessariamente svuotarlo, ovverosia in un processo evolutivo in cui assorbimento, abbandono e vairagya sono sinonimi.
Per comodità discorsiva si divide la concatenazione dei samadhi samprajnata, ovvero con contenuto cognitivo e asamprajnata, ovvero privi di contenuto cognitivo. Questi samadhi sono definiti da Patanjali “superiori”, avendo escluso a priori i samadhi inferiori poiché terminanti in una degenerazione della coscienza.
Il primo è savitarka samadhi, dove alambana viene meditato e assorbito secondo le sue caratteristiche di nama (nome) e rupa (forma), cioè così come appare nello spazio e nel tempo, per questo viene detto "con ragionamento"; lo sbocco di questo è nel samadhi, fase di passaggio, detto nirvitarka, "senza ragionamento", dove la coscienza del sadhaka realizza direttamente e simultaneamente l'oggetto meditato in tutti i suoi aspetti ragionati, senza ragionamento, in una sintesi che segna un grado di samapatti e un vairagya superiore nel senso già indicato di assorbimento e abbandono.
Il sadhaka è quindi ora nella condizione di accedere ad un samadhi più sottile detto savicara, "con riflessione". È un samadhi dove alambana viene meditato e assorbito secondo il piano shakti, "delle energie sottili" che evolve, come per il nirvitarka, nel nirvicara, dove l'oggetto viene realizzato direttamente e simultaneamente in tutti i suoi aspetti sottili senza riflessione, con ulteriore progresso in termini di samapatti e vairagya (distacco emotivo).
Penetrati questi primi quattro samadhi, la prakriti risulta assorbita e trascesa nella sua forma di pensiero e quindi la coscienza può portarsi nella sfera superiore rappresentata dalla materia emozionale: il samadhi sananda.
Nel samadhi sananda la coscienza penetra l'oggetto della meditazione traendone una esperienza di gioia e profondo appagamento che, come i precedenti, sfocia in nirananda, dove la coscienza vive una esperienza neutra di ristoro esattamente come in nidra, ma a differenza di questa, penetra lo stato di sonno profondo con la coscienza di veglia.
A questo punto non rimane che superare l'ultimo diaframma, strappare l'ultimo velo: la identificazione con la prakriti, sasmita.
Qui la coscienza ha come un volgersi indietro, come un osservarsi di là dal corpo e dalla mente e, constatando di non essere più né corpo e né mente, essa può ancora affermare "io sono". In nirasmita cade anche quest'ultimo frammento di identificazione, di soggettività e il sadhaka da un "io sono" accede ad un puro "sono”.
La coscienza ora è totalmente dis-identificata, quindi nella condizione di accedere ai samadhi superiori, i nirbija samadhi, ove non esistono più samskara, anche quelli virtuosi.
Ora è del tutto evidente dalla presenza stessa di due ulteriori samadhi, che l'aver acquisito la pura coscienza di essere, non è sufficiente perché il Purusha possa dirsi libero, poiché la prakriti ancora sussiste nelle sua potenzialità.
In virama pratiyaya la coscienza prende sede nel nirodha, che qui sta ad indicare l'elemento sincopato della ritmicità del tempo, ovvero assorbe e trascende la prakriti nella sua forma di tempo. Nella pausa del tempo permangono soltanto i nirodha samskara, i samskara sostanziati di vuoto, rappresentanti il contenuto dello spazio, e sono questi samskara che vengono assorbiti nel nirbija samadhi. Solo a questo punto la coscienza ha superato e trasceso la prakriti nelle sue ultime forme potenziali di tempo e spazio e può quindi finalmente accedere al dharma megha samadi, al kaivalya, a quello stato di liberazione di cui nulla si può dire.
In questo straordinario passaggio di psicologia del profondo Patanjali ci guida verso la definizione del metodo per realizzare la pura coscienza, il sé, libero da tutti i condizionamenti. Non esistono più paura, rabbia, tristezza, orgoglio, superbia, astio, rancore, ma solo l’eterna beatitudine del sé nella sua unione con il Parampurusha, Ishvara, la coscienza Suprema. È questo lo stato reale dell’essere.
Paolo Federico Cittarelli
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