Sì, farò silenzio, ma mi ribello
PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA
Miele è il film di esordio alla regia dell’attrice Valeria Golino. E’ un film sull’eutanasia.
La protagonista, un’androgina Jasmine Trinca il cui soprannome dà il titolo al film, dà la morte a chi lo desidera, attraverso la somministrazione di un farmaco letale, barbiturico per cani . A chiederlo di solito sono malati terminali o individui costretti a una vita da infermi. Le cose diventano complicate per la protagonista quando a contattarla sarà un ingegnere in perfetta salute fisica…
Il film è molto delicato ed apprezzabile per il fatto che non è sottolineata una presa di posizione da parte della regista. Non c’è interpretazione o un messaggio specifico. C’è un racconto. La storia di Miele, una trentenne mascolina, senza un fidanzato, con piuttosto un amico di letto, che corre in bici, nuota ore in mare, si toglie magliette, si mette camicie, sale su aerei, scende da corriere per il Messico, torna ecc.. un dinamismo quasi automatico che mi ricorda i racconti del minimalismo americano, una serie di gesti meccanici, ma pieni vita e dinamismo, come a reagire all’immobilità di quei malati, alla morte che Miele vende a caro prezzo.
Nella vita solitaria della giovane donna, l’ingegnere anziano, che le chiede il suo “servizio”, diventa anche il suo confessore. Quella vicinanza innesca in lei una confidenza che la fa aprire al racconto di sé, delle perplessità e difficoltà che la sua occupazione comporta.
Lo spettatore è portato, senza scampo, a fare a sé stesso delle domande e prendere una posizione rispetto a quello che vede. E’ giusto dare una morte indolore a chi lo chiede, anche se è consapevole della sua scelta? E se capitasse a noi, aspetteremo la morte consumarci fino all’ ultimo respiro, oppure sceglieremmo, potendo, una morte consapevole e lucida? Che resistenze agiscono in noi in questo ambito? Quali sono i tabù che abbiamo riguardo alla morte e da dove provengono, qual è la loro origine?
“Miele” è un film che stordisce, perché nella mente si hanno vari pensieri e prese di posizione e allo stesso tempo, si è pervasi da un inspiegabile disagio magmatico, misterioso e antico.
Allo stesso tempo il film rimane emotivamente piatto. Io l’ho vissuto così, troppo leggero per un argomento del genere. Mi aspettavo una profondità emotiva maggiore della protagonista, come se , essere vicino alla gente che muore, potesse portare a una maggiore interiorità, a uno speciale dolore che ha in sé creatività e grande forza. La bella Jasmine Trinca ha sempre la stessa faccia : preoccupata, triste, pensierosa, senza altri riflessi o spessore. D’altra parte il suo personaggio era davvero impegnativo e l’argomento ci lascia troppo pensierosi per occuparci d’altro.