Il Sacrificio
DI PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA
Lunedì scorso abbiamo onorato la figura di San Giuseppe, giorno in cui la nostra tradizione cristiana dedica la festa al papà. San Giuseppe è stato un padre particolare.
La storia lo descrive come un falegname, ma non è era un semplice scalpellino ; egli infatti aveva una bottega e una attività imprenditoriale e certamente non sarebbe stato scelto per Maria, figlia di Anna e del ricco Gioacchino, se non fosse stato benestante e riconosciuto socialmente. Quando Gesù da adulto parla con gli scribi del tempio, c’è chi dice “è Gesù il figlio di Giuseppe” dimostrando che era una figura conosciuta e benvoluta.
Nel nostro immaginario San Giuseppe è “il numero due”, colui che ha accettato l’inaccettabile: sposare la sua fidanzata già gravida… ad opera dello Spirito Santo. Per quanto si possa amare una persona, accettare una cosa simile è imbarazzante, forse avvilente e doverlo spiegare al mondo significa abbattere il proprio Ego per portare avanti una missione. Quando Giuseppe venne a conoscenza dello stato di Maria, assolutamente non voleva sposarla, ma gli comparve un angelo nel sonno per dirgli che doveva farlo, che era Dio a chiederglielo, era la sua vocazione, la sua storia, il suo destino.
La storia dell’arte lo relega sempre in un angolo, lo posiziona ai margini del dipinto- anche nelle icone della tradizione ortodossa russa, disegnandolo più piccolo. Oppure se è in primo piano, ha quest’aura di bontà paziente e rassegnata. Sicuramente è l’immagine dell’umiltà e questo genera tenerezza e commozione. Tuttavia non credo che la tenerezza fosse un suo sentimento e nemmeno quello di uno yogi che lotta costantemente con le tendenze della propria natura inferiore. Vedo in Giuseppe l’uomo che ha immolato sé stesso nel sacrificio trascendente, facendo morire l’uomo vecchio, ignorando i condizionamenti e il consenso generale; ha seguito la sua strada assurda contro tutto quel modo di pensare che ci vuole in un certo posto stabilito. Per questo è potuto essere il padre putativo di Gesù: ha insegnato al nostro Salvatore che se si muore una volta a sé stessi, non si può morire più. Ha dato la sua vita come Gesù ha fatto sulla croce. Solo che l’ha fatto in silenzio e in modo non appariscente o eroico.
L’idea che ci è stata tramandata dalla nostra cultura del sacrificio evidenzia soprattutto la rinuncia e la sofferenza legata ad esso. Sacrificarsi con un quel voluttuoso piacere , squisitamente sadomaso, per far sentire in colpa gli altri della propria santità. No, non è questo. Quante volte abbiamo nascosto dietro questa parola la mancanza di coraggio nel fare delle scelte di cambiamento. Offrire la propria vita prevede che si abbia già vinto terribili battaglie interiori, contro ciò che ci schiavizza e ci costringe per seguire i propri bisogni egoici.
Perché sacrificarsi, perché offrire la propria vita? Non si può stare tranquilli e goderci i piaceri che possiamo ottenere? La nostra esperienza conosce la risposta, seguire il piacere come metodo e obiettivo porta alla distruzione della nostra vita, invece dare sé stessi con obiettivi non interessati, ci collega alla nostra natura superiore e ci rende divini, rendendo sacra la nostra esistenza e profondamente realizzati.