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"Curanderos"

DI STEFANO ALBERTIN

Oggi nella nostra cultura cerchiamo sempre più di rimuoverla dalla nostra coscienza voltando spesso lo sguardo da essa, estraniandoci al suo richiamo di focalizzazione nel momento presente, ma la morte in quanto più saggia e tenace, con tutta la sua prorompente vitalità, si manifesta senza maschere lungo le strade di casa nostra.

Anche qui in Alto Adige come nel resto d’Italia la sua presenza si mostra ai bordi delle carreggiate attraverso croci, fiori, candele, capitelli e in questa terra di confine man mano che si sale verso le montagne le celebrazioni della sua presenza aumentano attraverso le rivelazioni di lapidi in marmo dai vari colori, con tanto di foto, data di nascita e in alcuni casi della professione svolta dall’estinto/a, dei cari lasciati o di alcune frasi che ne commemorano il suo passaggio su questa terra.
Tempo fa scendendo lungo una di queste strade il mio sguardo si posò per alcuni rapidissimi secondi su una scena che catturò la mia attenzione, tanto da proseguire in una elaborazione mentale così coinvolgente che ancora oggi vive attraverso queste righe.
Alla mia sinistra affrontando una doppia curva costeggiata da un prato scosceso e coperto dall’erba brulla di fine stagione, notai chinata sullo stesso una coppia di mezza età intenta a sistemare una lapide.
Mi sembra che la donna la stesse pulendo con uno straccio mentre l’uomo era intento a liberarla dalle sterpaglie. Dei fiori freschi stavano accanto distesi, pronti per adornarla con la loro fragranza, forse arricchita da qualche preghiera in comune recitata.
Gesti lenti, delicati e rispettosi compiuti in un silenzio spirituale, mentre attorno ancora il frastuono dei motori di macchine in velocità cercava di catturare l’attenzione in una esternalità volta al fare.
Ho provato unione nei confronti di quella coppia sconosciuta, ho sentito abbandono, tristezza, solitudine, lontananza, partecipazione, condivisione. Pochi secondi, per poi tornare a osservare il percorso che stavo percorrendo, pochi secondi poi per rendermi conto di essere in un’altra realtà fatta di immagini, sensazioni, pensieri, mentre l’uomo e la donna sparivano per sempre dalla mia vita terrena.
Il curandero oltre a guarire il corpo e l’anima individuale guarisce tutta la comunità, influenzando gli elementi naturali in quanto ne conosce le leggi. L’amore e la conoscenza sono la base del suo potere che usa come anelito per aiutare gli altri anche attraverso dei cerimoniali.
Forse quel giorno la mia attenzione fu colpita dal fatto che il mio sguardo per un breve istante aveva incrociato quello di una coppia di “curanderos” e dei loro rituali di fronte a un pezzo di marmo. Dei genitori che stavano ripulendo le ferite più grandi dai loro cuori, togliendo dai propri sensi le erbacce dell’illusione per immergersi in una realtà diversa da come l’avevano pensata, adornando di colori e fragranze un posto che aveva tolto la loro gioia di vivere, recitando un mantra, coccolati dal vento e bagnati di qualche lacrima. Uniti, insieme, occhi negli occhi, gesta nelle gesta, corpi nei corpi, con il silenzio dentro e il rumore fuori.
Vulnerabilità, impotenza, sfiducia, rabbia, che la vita della morte rendeva loro opportunità di vicinanza empatica, di rispetto condiviso, di fragile battito d’ali, per incamminarsi su un prato scosceso, al ciglio di una strada e celebrare la loro luna di miele.
Oggi ringrazio questa coppia di “curanderos” che mi ha guarito dal mio tran tran quotidiano fatto di fatti da dover svolgere e portare a termine, per avermi per pochi secondi regalato l’eternità della mia interiorità fatta di sensazioni, emozioni, sentimenti a cui volgere l’attenzione durante una doppia curva, alla mia sinistra, ai bordi di una strada costeggiata da un prato scosceso.
Credo sia questo che viene chiesto a noi futuri counselor. Direzionare lo sguardo verso Bhakti e Vedanta, portare unità nella relazione con il cliente, rendere eterno il momento del colloquio attraverso l’accoglimento dell’altrui interiorità, deporre dei fiori là dove emergono i suoi bisogni ed emozioni con l’amorevolezza della nostra presenza empatica. Rendere qualsiasi piccolo gesto, qualsiasi rimando riformulato importante, in quanto chi domani potrebbe sedersi di fronte a noi è importante. Ripulire delicatamente con uno straccio attraverso la formulazione di domande appropriate e chiarificando gli strati di polvere, consolidati da maschere, difese e schemi mentali che coprono il nostro vero sé. Infine essere dei Fenarete verso sé stessi per poi diventare levatrici di anime verso gli altri.