Quanto fa paura la diversità?
DI ALESSANDRA CORA'
La diversità in qualsiasi sfumatura si srotoli è difficile da sostenere, da accogliere: si tende a guardare l’altro con diffidenza, a stigmatizzare, senza osservare da più punti di vista, senza andare in profondità, per vedere se in quella diversità ci sia del buono, del positivo, del costruttivo.
Uscire dalla normalità, dall’essere simili l’uno con l’altro spaventa, crea scompiglio e si cerca di tenere a distanza, a volte con ipocrisia, le persone che vanno contro corrente, che vogliono per i motivi più disparati vivere la vita con nuova consapevolezza, con più gusto e con nuovi e più evolutivi valori. Se ci guardiamo bene intorno, siamo tutti diversi, nessun essere umano è uguale ad un altro, tuttavia nella non-uguaglianza fisica e caratteriale si va alla ricerca di ciò che piace che è affine, in questo modo si omologa la diversità dell’altro a modelli che rientrino in schemi similari a noi stessi e che diano serenità e agio.
Ho trovato il coraggio di scegliere un percorso di vita diverso, perché attraverso una malattia ho compreso che la vita deve essere vissuta, presa per mano, per non lasciarsi scappare opportunità di nuove scoperte, di nuove prospettive. Ho ripreso in mano la mia vita quando ho sentito che era molto facile perderla e questo mi ha portato a riconsiderare molte cose. Dopo un primo profondo lavoro su me stessa, il primo cambiamento tangibile è stato in ambito alimentare ho tolto gli alimenti che provenivano da fonti violente. Questo per una scelta sia salutistica che etica; ho sentito il bisogno di rispettare ed onorare la vita in ogni sua forma. Già questa svolta è stata vista un po’ come un vezzo… che dai, diciamolo, non si è capito più di tanto. Perché la salute è importante, specie dopo un cancro, ma allo stesso tempo avendo un figlio vegano e controcorrente da diverso tempo, la mia scelta è stata interpretata come se avessi voluto seguire le sue stranezze.
Adesso però, a detta dei pettegolezzi, sto esagerando: alcuni pensano che la causa del fallimento del mio matrimonio sia imputabile ai miei estremismi.
Già: ma cosa significa essere “estremista?” Me lo sono chiesta tante volte in queste settimane, visto che tra i miei conoscenti si parla molto di questo, anche a sproposito. Poiché a mio parere il confine è labile, potrei essere etichettata ben presto come ‘terrorista”, perché si sa: non si toglie, ma si aggiunge per rendere il vociferare più appetitoso!
A pensarci bene la mia è una rivoluzione di pensiero, di paradigma!
Allora, sono “estremista” perché mi nutro di: pasta integrale, grano saraceno, quinoa, verdure, frutta, legumi, cereali e ho eliminato carne, pesce e uova; sono “estremista” perché mi molto alzo presto al mattino per meditare e recitare preghiere e lodi al Divino, credo al karma e che la morte sia solo un passaggio da una dimensione ad un'altra, credo che attraverso l’empatia e l’affetto si possano aiutare le persone a trovare soluzioni ai loro problemi e credo che la parte migliore di noi sia il sé, l’anima; credo in Dio, certo, lo prego e lo sto conoscendo da un’altra prospettiva, tuttavia sempre Dio è.
Caspita sono proprio strana… sono proprio diventata scomoda; tuttavia non ho mai imposto nulla a nessuno, ho solo espresso la mia opinione, ho offerto prospettive nuove, è anche vero che ad oggi mi pare esista ancora la libertà d’espressione.
Mi sto rendendo conto che tutto questo è devastante e se una persona è emotivamente fragile può diventare insostenibile. Seguire una via della ricerca e del cambiamento comporta dei rischi: in primis quello di perdere lungo la strada chi avevi accanto, i divari di pensiero e di vita vengono a volte troppo grandi, tuttavia… “non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere!” Compassione e accoglienza verso chi mi ha messo da parte non sono ancora così maturi e forti e la rabbia a volte prende ancora il sopravvento, tuttavia sto realizzando che senza la consapevolezza di ciò che veramente siamo, l’andare controcorrente può essere visto davvero solo come un mero stravagante estremismo. Per fortuna, nonostante la sofferenza che immancabilmente arriva, perché da parte mia ci sono ancora aspettative, attaccamenti e i giudizi degli altri hanno ancora il potere di entrare in me, sono felice di ciò che sono e penso che se avessero il coraggio di voler comprendere la mia scelta, forse, magari scoprirebbero temi e argomenti interessanti. Tuttavia fa più scalpore che uno sia “estremista” per le cose sopra citate che essere sostenitore dei muri per fermare gli emigrati.
In una società che si definisce evoluta, non si può stigmatizzare in questo modo le persone, senza pensare alle conseguenze che ne potrebbero scaturire! Si dovrebbe pensare che diversità crea colore, movimento, dinamismo, diamo la possibilità a noi stessi di essere curiosi, di poter scoprire cosa c’è dietro: potremmo rimanere meravigliati…
D’altronde l’Amore vero si realizza solo quando realizziamo che siamo atman, sé, allora si può capire perché può succedere tutto questo; in questo senso diventano balsamo per la mia anima le parole del saggio Yajnavalkya alla moglie Maitreyi, nella Brihadaranyaka Upanishad:
“ E parlò: Il marito è caro non a causa dell’amore per lui, ma a causa dell’amore per il sé.
La moglie è cara non a causa dell’amore per lei, ma a causa dell’amore per il sé. I figli sono cari non a causa dell’amore per loro, ma a causa dell’amore per il sé….
… Nessun oggetto è desiderato per se stesso, bensì è desiderato per amore del proprio sé. È il sé dunque che bisogna guardare e sentire, è al sé che bisogna pensare e rivolgere la propria attenzione. O Maitreyi soltanto guardando, ascoltando, considerando, conoscendo il sé si conosce tutto di questo universo.”
Solo attraverso gli occhi del sé si comprende una scelta spirituale ed etica, allora e solo allora da meri “estremisti” si può tornare ad essere visti come veri esseri umani.