Conoscere la nostra natura divina per evolvere
Lo scopo fondamentale dell'esperienza nel mondo è acquisire la consapevolezza della nostra natura divina.
Probabilmente, in un certo senso, questa consapevolezza è più chiara a chi ha studiato la spiritualità vedica che quella cattolica. La famosa “Imitazione di Cristo", oltre ad essere un profondo saggio di Tommaso da Kempis, potrebbe generare qualche confusione nel cuore di un ricercatore dello spirito.
Devo imitare Gesù come modello di condotta?
Gesù essendo Dio incarnato come uomo, ha dimostrato che con la meditazione e la disciplina spirituale, si può arrivare a degli alti livelli di trascendenza.
Possiamo noi “imitare" la divinità?
Ovviamente no. Piuttosto possiamo porci in un “cammino per …”, facendo esperienza progressiva della propria natura profonda, evitando pericolose imitazioni che non siano sostanziate da una esperienza reale e consapevole.
Nella Bhagavad Gita è tutto più chiaro. Innanzitutto Krishna si pone nel ruolo di Maestro e indica attitudini mentali e comportamenti molto precisi. Parte dal presupposto che la divinità è già dentro di noi (nella forma di Paramatma), accompagna il soggetto nel suo cammino nel samsara (si veda Bhagavad-gita XV.15 e XVIII.61) e la sadhana (disciplina spirituale) serve proprio per far riemergere la nostra natura spirituale, come una lampada oscurata dai vari involucri condizionanti della nostra vita materiale (la mente, i sensi, l'educazione la cultura sociale ecc). La divinità presente in noi (chiamata appunto Paramatma nello yoga della Bhakti) era in qualche modo un'idea presente nel cristianesimo medievale, ma con il tempo si è persa questa consapevolezza.
Gesù di Nazareth aveva offerto insegnamenti molto chiari in questo senso, che portavano ad una visione esplicita della natura intrinseca di ogni essere vivente. La realtà dei fatti è che cominciare dai comportamenti virtuosi ci aiuta anche a modificare le azioni, le abitudini, la personalità e questo è già notevole di per sé. Il percorso di formazione in Counseling del Centro Studi Bhaktivedanta parte proprio da qui: diventare consapevoli di sé in tutti gli aspetti, per progettare un futuro evoluto. Imparare a trasformare, crescendo in ambito relazionale. La relazione è in questo senso occasione di crescita, perché consente di imparare a vedere la divinità presente in ogni essere vivente. È questo il senso del saluto indiano namaste: “offro i miei omaggi al divino che è in te”.
Porsi con questa attitudine consente di separare la persona dal suo comportamento. Nei nostri corsi di counseling insegniamo che “la persona è da considerare sempre degna di rispetto”, il comportamento, invece, posto di essere in presenza di informazioni complete, deve essere valutato in un’attitudine costruttiva per offrire spunti al miglioramento. Se tutti noi riuscissimo a discriminare le persone dai loro comportamenti il mondo sarebbe molto diverso! Ci sarebbe più rispetto e sarebbe favorita la comunicazione non violenta che dona visione ed empatia, amorevolezza nel rigore della valutazione oggettiva dell’evento in sé.
Da dove si può partire?
Saper aspettare potrebbe essere una risposta, attendere con una consapevolezza attiva, osservare i nostri pensieri e le nostre emozioni, ovvero diventare prima di tutto testimoni del nostro moto cognitivo ed emotivo che spesso ci impedisce di esprimere una valutazione oggettiva degli eventi, debordando in reattività comportamentali distruttive. Questo esercizio facilita lo sviluppo della consapevolezza del sé profondo, ovvero la componente divina in noi e nell’altro. Inoltre la connessione con la nostra divinità (Paramatma) ci collega automaticamente con gli altri appunto perché ci mette in rete con il loro spirito. In questa dimensione ci rendiamo conto che non siamo separati da niente, a meno che non siamo noi a disconnetterci. Allo stesso tempo, il mondo rovesciato che via via scopriamo insieme alla divinità in noi non è così facile da accettare, sconsigliato a chi soffre di vertigini dovuti ai troppi attaccamenti e condizionamenti. Se fosse un facile raggiungimento e una facile gestione la vorrebbero tutti, ma non pare sia così. Per questo la Bhagavad gita afferma (VII, 3): “Tra migliaia di persone forse una cercherà la perfezione e tra coloro che la raggiungono raro è chi Mi conosce veramente"
Paola De Paolis Foglietta