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Volontà e Con..fine

Un adeguato sviluppo della Volontà (intesa come facoltà di volere, di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di determinati fini) e la corretta definizione e comunicazione dei nostri confini relazionali sono fondamentali per il nostro equilibrio e la nostra crescita.

Tali argomenti si sono intrecciati durante gli ultimi seminari di formazione base in Counseling del Centro Studi Bhaktivedanta e come spesso mi accade, gli spunti teorici e le condivisioni avute nei laboratori hanno smosso in me molti pensieri ed energie.

Per accogliere ed elaborare ho scelto di offrire questa riflessione.

Da un articolo letto di recente traggo questo spunto: i confini nelle relazioni, che siano familiari, amicali o professionali delineano dove si situa lo spazio fisico, emotivo e psicologico della persona e dove inizia e finisce quello della relazione. 

Immaginiamo una relazione come due cerchi che si intersecano; l’area delimitata dai 2 cerchi sovrapposti è il luogo di incontro, mentre gli spazi che non si intersecano rappresentano le singole individualità.

Tutte queste aree vanno coltivate e la loro ampiezza va definita in base al contesto di riferimento.  

Abbiamo visto, in merito a ciò, come i nostri condizionamenti possano causare diverse dinamiche che, per esercizio di sintesi, riporto a seguire pur consapevole che un argomento così importante si presta a tante altre sfumature e spiegazioni, per questo desidero rimandare il lettore ai seminari svolti nell’ambito della formazione Counseling del Centro Studi Bhaktivedanta.

In generale per iper-criticismo, perfezionismo, disistima, senso di colpa può nascere in noi l’incapacità o la debolezza di definire limiti sani tra i nostri bisogni e quelli dell’ambiente circostante.

Questa condizione è spesso aggravata dalla non conoscenza dei bisogni stessi (sottesi ai nostri moti emotivi)  e dalla difficoltà di discernere se il loro soddisfacimento ci conduce o meno ad un benessere più strutturale. 

Può quindi sussistere la situazione in cui ci si convince che gli altri abbiano necessità del nostro aiuto senza che ciò sia stato effettivamente verificato, senza una preliminare valutazione dei campi di responsabilità ed azione delle persone in gioco; ciò può accadere a causa di dipendenze affettive che spesso rappresentano la condizione in cui il nostro rispettabile desiderio di essere visti, riconosciuti e considerati viene indirizzato in modo disfunzionale.

Non riuscendo a valorizzarci partendo da noi stessi, avendo pochi strumenti per riconoscere e celebrare, nella gratitudine, i nostri punti di forza che possono anche emergere da piccoli gesti quotidiani, deleghiamo allora la nostra stabilità quasi esclusivamente ad altri, al loro feedback.

Accade allora che tendiamo a sminuire i nostri e altrui confini.

Una volontà debole, in tale caso, può ostacolare un adeguato ascolto delle nostre istanze interiori e/o può renderne faticosa la comunicazione al  mondo esterno. 

Una volontà forte, ma non saggia, può indurre invece a svolgere quello che si ritiene sia ‘il proprio dovere’ a prescindere dal stato psico-fisico in cui ci si trova: è la condizione  dell’ ‘io ce la devo fare’ , del ‘non ho scelta’ senza un orizzonte di senso. 

In questi frangenti, non mi interrogo neppure se l‘azione possa far parte o meno del mio dovere prescritto (svadharma)..  procedo e basta e  se la rabbia si affaccia la ignoro.. in fondo la ‘vita è così e questo è il mio destino..’.

Può essere il caso in cui le circostanze fuori di noi sono assunte come unico responsabile della nostra stanchezza, del non avere mai tempo per se stessi, del sentirsi in balia delle circostanze.

E’ un tasto molto delicato..

Dalla parte opposta, il timore di essere autentici, di aprirsi, la difficoltà a riconoscere ed accettare (in ottica trasformativa) le nostre fragilità, le nostre tendenze, può portarci a erigere confini rigidi.

Spesso il Maestro Marco Ferrini ci ricorda che è una virtù saper discernere modalità, tempo, luogo, circostanza del nostro agire.

È utopistico quindi pensare di potere condividere con chiunque i nostri pensieri e le nostre emozioni; al tempo stesso se non si entra gradualmente in contatto con la propria bellezza e unicità il rischio è quello di creare barriere intorno a se, non permettendosi magari di offrire all’altro un servizio che è nelle nostre disponibilità o di riceverlo da chi è nel ruolo e ha le capacità e l’autorevolezza per supportarci.

Il nutrire una volontà debole, in situazioni simili, ci blocca all’apertura verso noi stessi o verso l’altro ritenendoci magari non degni di attenzione, di amore e la nostra area di comfort può divenire quindi un rifugio dentro al quale lamentarsi.

Una volontà forte, in questi casi, può d’altro canto condurre erroneamente a pensare di non avere mai bisogno di aiuto, di poter fare a meno degli altri.

E quindi? 

Recenti condivisioni sulla chat del corso stimolate da Andrea Boni, coordinatore del percorso di formazione in Counseling,  hanno sottolineato l’importanza di curare il nostro vocabolario e la grammatica per ampliare la capacità di espressione e visione del mondo; tale cura è effettivamente in antitesi con la frettolosità e la superficialità che spesso il Maestro Marco Ferrini richiama come gravi pericoli dei nostri tempi.

Spesso, se ci permettiamo di sostare (so..stare?) sulle parole, come sulle nostre emozioni ed i nostri bisogni, e lo facciamo con attenzione, nutrendo il senso di meraviglia rispetto a quello che può emergere, abbiamo l’opportunità di accrescere la nostra consapevolezza. 

‘Inaspettatamente’ ciò che sale in superfice può indicarci una via..

Soffermiamoci allora sulla parola ‘Confine’ .. dal latino confinis.. derivato da finis ‘limite’ con il prefisso ‘con-’..  

Con.. fine.

Se il confine fosse meramente una linea che abbiamo definito (dentro o fuori di noi) per delimitare una relazione senza prestare attenzione alle motivazione di base di tale tratto e senza possibilità di rivederlo in funzione del contesto non servirebbe il prefisso ‘Con’ .   

Il confine sarebbe un limite, ovvero una demarcazione terminale e divisoria.

Questo ‘Con’  invece ci apre e ci stimola alla unione, alla partecipazione, al collegamento con… la migliore versione di noi stessi.

Questo ‘Con’ è con.. tatto..  ci accompagna al  ‘fine’.. ricordandoci che il limite definito è opportuno sia funzionale ad uno scopo (fine) più elevato..  tale limite diventa quindi spazio di flessibilità, di incontro (con noi e con gli altri) e, proprio per questo, con l’evolversi della relazione stessa, può cambiare. 

Questo ‘Con’ allora ci riporta alla volontà saggia (né debole, né troppo forte), che armonizza il pensiero razionale con il sentimento, che integra la parte che pianifica e agisce con quella che fa luce sulla nostra essenza e ne richiama la progettualità ultima, che è ontologicamente quella di tendere ad un rapporto sempre più evolutivo con la parte più luminosa di noi… ed, in ultima istanza, con quella energia pura sempre disponibile e al nostro servizio che io scelgo di chiamare Dio.

Il confine definito sarà quindi consapevole, chiaro, comunicato e pronto ad essere rimodellato qualora necessario: sarà l’espressione della nostra libertà e della nostra responsabilità.

Scrisse il prete operaio Giuseppe Stoppiglia: "Se la libertà è l’immenso territorio in cui possiamo muoverci, la responsabilità è il tracciato delle strade da percorrere e, se si vuole, anche il perimetro o il confine".

Ecco perché una condotta disciplinata, che ci veda impegnati con gradualità, compassione e coerenza verso l’applicazione di valori evolutivi, non è un limite ma un confine in continua evoluzione; uno spazio che quando cadiamo (chi non commette errori?) ci protegge, attenua il rumore esterno, ci accoglie e ci dona forza e calore per ripartire con fiducia.