Skip to main content

Ente di Formazione Accreditato MIUR ai sensi della direttiva 170/16

Esercizi di trasformazione spirituale - Prima parte

Uno degli aspetti sui quali si concentra la comunicazione non-violenta è quello di cercare di operare in modo tale da non urtare la sensibilità altrui. 

Ogni essere vivente, consapevolmente o inconsapevolmente, porta con sé, come bagaglio esperienziale-emozionale, ferite emotive, impressioni psichiche profonde (samskara) che si sono radicate profondamente nell’inconscio (karmashaya). Essi sono esito di esperienze, di eventi, di traumi, che da tempo immemorabile accompagnano la persona nella sua esperienza incarnata.

Sono blocchi energetici di natura sottile che possono permanere per tempi indefiniti. Possono rimanere latenti, oppure talvolta si risvegliano e arrecano disagio sul piano cosciente, manifestandosi attraverso spinte reattive, pensieri ossessivi, narcisismi, forme paranoidi o schizzoidi di comportamento.

Nell’ambito della comunicazione non violenta occorre acquisire l’arte di saper cogliere le criticità del nostro interlocutore al fine di penetrare tra le sue ferite emozionali, per parlare al suo cuore. Ovvero, la nostra comunicazione la possiamo vedere, in una metafora, come un segnale elettromagnetico, una forma d’onda che viaggia da noi verso l’altro. Quando questa “forma d’onda” urta un samskara dell’altro, vengono emesse delle “onde di ritorno”, dette “vritti”, generatrici di movimenti di pensiero e di emozioni, vortici che muovono la mente, innestando le reazioni specificate sopra. 

Occorre saper parlare per orientare la nostra comunicazione-onda affinché si muova tra le ferite profonde e giunga al centro, al cuore, all’anima con cui ci stiamo relazionando. 

Questa è l’arte di parlare con il cuore così come veicolata dagli insegnamenti di Marco Ferrini (per un approfondimento si consiglia l’ascolto del video/audio corso specifico

Prendendo in considerazione il piano della relazione e quindi della comunicazione, tali forme di condizionamento profondo che non consentono di parlare al cuore dell'altro hanno come effetto il perdurare di conflitti sottili o grossolani, conseguenza del non soddisfacimento di naturali bisogni umani di appartenenza, di stima, di ascolto, di accettazione del proprio pensiero, e tanto altro. 

La conseguenza può essere una rottura di una relazione anche profonda. 

È un fatto, peraltro, che la natura materiale è per sua struttura intrinseca in continua trasformazione e quindi giace su un piano del relativo. In una tale strutturazione implicita è possibile, quindi, che possano presentarsi posizioni di pensiero che assumono una configurazione relativa e in opposizione.

Quando ci troviamo in presenza di particolari configurazioni relazionali in cui si percepisce che si hanno posizioni ortogonali con il nostro interlocutore, che possono minare la reciproca accoglienza, piuttosto che insistere nel cercare di avere ragione sull’altro (vuoi avere ragione o essere felice?) un esercizio utile è quello di portare il piano della condivisione sui valori che uniscono, su ciò che si concorda e da lì, eventualmente ripartire, magari successivamente, per una nuova condivisione. 

Imporsi e praticare questo modello di comportamento può portare a esiti davvero impensabili. 

Andrea Boni