Il Signore ha fatto tutto così bello.. Perché avrebbe dovuto fare brutta la morte?
MANUELA BONETTA
RIFLESSIONI SEMINARIO COUNSELING, Ponsacco - Maggio 2019
L'esperienza conclusa da poco più di una settimana mi ha vista lavorare duramente ma con grande soddisfazione!
Il tema è, credo, il più impegnativo e richiede grandi sforzi per superare i limiti dei propri condizionamenti, pregiudizi e cecità emotive.
Approcciarsi alla morte in maniera naturale, senza maschere, senza finzioni, mi ha sempre coinvolto molto. Le mie difficoltà ad avvicinarmi all'argomento sono nate dopo la mia maternità e mi hanno fatto scendere in contatto con me stessa, genuinamente e profondamente.
Assistere alle tesi è stato molto arricchente perché mi ha dato l'opportunità di cogliere il lato umano sia di persone che conosco da tanto tempo, e anche di persone che non ho avuto finora la fortuna di incontrare sul mio percorso di formazione personale.
E' stato bellissimo osservare come tutti i candidati implementano nella loro vita quotidiana il counseling che si distingue per questo peculiare approccio, il quale -personalmente- ritengo molto dignitoso e rispettoso delle relazioni e delle persone.
Relazioni di lavoro modificate ed elevate, raffinate non perché contraffatte, ma perché con abilità e saggezza portate su di un piano migliore rispetto al precedente.
Persone che hanno vissuto difficoltà (che possono traumatizzarti per una vita intera e far calare su di sé ulteriori condizionamenti - oltre a quelli già presenti) che invece si sono sentite spronate a migliorare prima se stesse per trovare risposte a crisi enormi.
Tutto in maniera non violenta, pacifica, risolutrice.
Persone che hanno trovato la loro strada professionale, di ricerca, personale. Chi è ai primi passi come chi è già un buon pezzo avanti.
Ho osservato poesia, praticità e molta bellezza.
Ho vissuto immersa in un laboratorio artistico, dal quale ho visto uscire nuove opere d'arte: umane e sovrumane per alcuni tratti.
Spesso il Maestro Ferrini ci dice: “siate la migliore versione di voi stessi” e quello che ho visto durante le tesi come anche durante i laboratori pratici è stato proprio una messa in pratica di questo insegnamento. L'esperienza che ho vissuto è stata molto segnata dalla pratica, la quale ho approcciato inizialmente con un poco di ingenuità. Al primo esercizio proposto (quello di stendere una lista di cose che ci appaiono “brutte” della morte, e una lista di cose che ci sembrano “belle” della morte) mi sono ritrovata a pensare: “Va beh dai, questa è facile!” per poi ritrovarmi con la penna in mano e faticare per trovare una sola cosa bella, sebbene da molti anni ne senta parlare molto attraverso le sacre scritture, sebbene abbia avuto la fortuna di avere molte testimonianze di bellezza e sebbene sia stata educata a non viverla nel dolore ma nella naturalezza.
Quello che mi rimarrà più impresso sono senza dubbio le parti pratiche, per diversi motivi.
Ancora una volta sperimentare la gioia di trovarsi a viaggiare insieme ai miei “compagni di classe” (che rappresentano per me il riparo e la protezione di un porto sicuro), scambi con corsisti che non conosco (i più stimolanti per la mia natura infinitamente affamata di novità e scoperte), incontri umani anche con i docenti e con le assistenti al corpo docenti (esempi che mi ispirano sempre al miglioramento), l'entusiasmo di scoprirsi, di sentirsi alla ricerca; la pazienza di sapere che per ogni cosa c'è il suo tempo e che l'attesa porta alla giusta maturazione e maturità.
Le difficoltà di rimanere in equilibrio nel lavoro di gruppo, dove un sano ed equanime mediatore è difficile da rivestire come ruolo e si sperimenta come sia molto più semplicistico e riduttivo proporre il proprio punto di vista, quando invece è infinitamente più prezioso imparare a mettersi in discussione, vestire i panni altrui e costruire una “identità di gruppo”, in una società che imperversa nell'individualismo e ci allevia del peso del senso di appartenenza, privandoci di tesori che sono tutti di materiale umano e arricchiscono il patrimonio costituito da tutte le nostre relazioni.
La “prima volta” (che non si scorda mai!) in cui, proprio grazie a un gruppo bellissimo di lavoro, ho dovuto per forza di cose impegnarmi nel ruolo di counselor: il cliente che ti “mette in difficoltà”, e con affetto paterno mi dice: “guarda che nel mondo là fuori succede questo, devi diventare abile e forte!” è stato un dono di grandissimo valore e vorrei ringraziarlo ancora per questo invito a migliorarmi. Le persone più avanti di me, a cui devo i miei ringraziamenti per dimostrarsi accoglienti con i miei limiti e generose nel donarmi il loro punto di vista e le esperienze che le hanno aiutate a crescere, le quali indirettamente fanno crescere un po' anche me.
La storia che sto scrivendo nel mio libro della vita, visualizzato nelle esercitazioni pratiche, mi piacerebbe che fosse la storia di una trasformazione.
“C'era una volta una bambina arrabbiata” era una vita passata. L'incipit del mio racconto fa presagire che, per l'appunto, c'era una volta, tanto tempo fa.
Oggi quella bambina arrabbiata con il mondo intero l'ho accolta e l'ho abbracciata, le ho detto che le voglio tanto bene e che non è colpa degli altri se lei si sente così. E che non è nemmeno sbagliato, se lei si sente così, che ne ha tutto il diritto.
La mia bambina arrabbiata ha pianto tutte le sue lacrime. Si è concessa di viversi e conoscersi più da vicino.
La mia bambina arrabbiata ha compreso che si può far veramente conto solo su di sé, sulle proprie risorse interiori e che gli altri non vogliono necessariamente ferirla se se ne vogliono o se se ne devono andare.
La mia bambina arrabbiata è rimasta lì, a ricordarmi che c'è stata, allo stesso tempo ho trovato energie nuove con cui nutrirla e la sua storia sarà felice, perché è così che la vedrò nel giorno in cui, forse, ci lasceremo.
Il tema che mi affascina maggiormente è quello di morire a se stessi.
La trovo una necessità naturale, come l'inverno per la natura: gli alberi spogli delle loro bellezze, delle loro chiome lussureggianti ed esplosive di vita nell'estate, dispensatrici di fiori, frutti e ombra. Nulla esiste più e tutto si è trasformato nel discreto silenzio del cambiamento.
Rinasce tutto qualche mese dopo, rifioriscono i fiori, fruttificano nuovamente gli alberi da frutto, le foglie ci donano ancora il loro verde, il loro fruscio quando vengono mosse dal vento in una promessa di quiete.
Voglio ricordarmi di Ananda Vrindavana, la mamma del mio Maestro spirituale Marco Ferrini, che un giorno – dopo una bellissima lezione nel tempio, mi guardò e mi chiese: “Il Signore ha fatto tutto così bello.. Perché avrebbe dovuto fare brutta la morte?”.