La magica arte dell’ascolto: cos’è il counseling?
DI PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA
In quest’epoca in cui dobbiamo pagare per farci ascoltare, veramente è necessario capire cos’è il counseling e quanto sia importante l’ascolto di qualità. Una volta la figura del sacerdote aiutava molto in questo senso, anche oggi naturalmente, ma in passato essendo quasi l’unica persona disinteressata che aveva fatto un percorso umano e spirituale dedicato alla collettività, diventava il riferimento per consigli, problematiche e varie crisi che nel corso della vita naturalmente accadono.
Poi c’era l’amica/l’amico. Questa figura d’ascolto è la più debole essendoci sempre un’inspiegabile fuga di notizie (nonché una frequente mancanza di “maieutica”). È come rivelare un segreto al cellulare, essendo perfettamente consapevoli che il proprio telefonino sia intercettato.
Le figure genitoriali raramente possono essere d’aiuto nelle crisi più profonde, sono troppo coinvolti con noi e probabilmente quelle crisi traggono linfa direttamente o indirettamente da loro; ma a volte succede che ci sia una vera comunicazione scevra di ovvi pregiudizi e si tratta di doni inestimabili per la nostra vita.
Tuttavia quando ci si trova in una situazione enigmatica, che sembra a vicolo chiuso, sentiamo la necessità di interpellare qualcuno al di fuori della nostra cerchia, che non sia soggetto a pregiudizi e possa ascoltarci in modo più possibile oggettivo .
Quindi, cos’è il couseling?
È definita come una figura di ascolto, ma il counselor non ascolta solamente. Si muove in un’area che si potrebbe definire psicologica, ma non fa terapia. È rivolta alla relazione, ma non vuole indirizzarci verso i propri valori o verso la propria visione della realtà.
Anche lo psicoterapeuta ascolta il cliente, ma prende appunti, elabora una diagnosi e alla fine nella fase definita “restituzone”, offre al paziente il proprio punto di vita sulla consultazione. Restituisce la propria lettura al problema dal proprio punto di vista esperto, individuando le soluzioni. Il paziente ascolta la restituzione dell’esperto, cerca di comprenderla, di farla sua, può accettarla o meno. Lo psicologo ha un ruolo più attivo e più propositivo e sicuramente non paritario con il cliente.
Nel counseling questo non accade. Per prima cosa il counselor non ha una preparazione di psicologia diagnostica clinica, questo perché si pone obbiettivi diversi dal terapeuta. Gli obbiettivi del counseling sono più esistenziali, lavora per aiutare la persona a prendere coscienza dei suoi bisogni e nella posizione umana ed esistenziale che occupa in quel momento della sua vita. Si occupa del benessere dell’individuo, non della sua malattia. Si pone obbiettivi definiti di breve raggiungimento per superare stati di difficoltà ancora gestibili. Per questo i suoi percorsi non durano più di qualche mese e non sono gestiti con i tempi lunghi dello psicoterapeuta.
Si va dal counselor quando si è irretiti in una delle tante crisi che costellano la nostra vita. Il cambiamento è sempre alla base di quella che noi chiamiamo crisi. Noi chiamiamo crisi il cambiamento. Crisi dal greco significa “scelta, decisione”, che è quella che bisogna prendere per vivere bene il cambiamento. Il counselor è una specie di psicopompo, un traghettatore che ha le capacità di farci uscire dalla buca in cui siamo caduti, in una fase temporanea di stallo verso la nuova strada che ci attende. I cambiamenti naturali o quelli imposti dagli eventi della vita ci fanno entrare in altre modalità e se sfruttati in modo giusto diventano occasioni speciali per guardare il mondo da un altro punto di vista. La nascita di un figlio, la separazione, la morte, il matrimonio, il passaggio dalla giovinezza alla maturità, la malattia, la crisi generazionale, il trasferimento in un’altra città, un tradimento, sono tutti argomenti che noi conosciamo e che a volte necessitano di un supporto per essere digeriti e reintegrati nel nostro sistema di valori. Il counselor non darà mai consigli, non dovrebbe almeno (neanche penitenze); egli si trova allo stesso livello del cliente, non gli dice cosa deve fare. Lavora però per far emergere in lui il potenziale e le risorse in modo che il cliente stesso possa trovare le soluzioni per la sua vita, in un processo di maturazione che lui si è guadagnato. Ha il compito di rimanere umanamente ed empaticamente a fianco del cliente, a facilitare la comunicazione dei temi emergenti e approfondire la comprensione e la consapevolezza dei propri bisogni e delle proprie risorse.
In particolar modo il counselor bhaktivedanda trova la sua stessa ispirazione nella sua interiorità, seguendo i principi universali di attenzione e amore verso l’essere umano che è portatore del divino. Rispetto a una posizione puramente umanistico- altruistica, il c. bhaktivedanta offre orizzonti più ampi dal punto di vista esistenziale e la sua visione transpersonale include aspetti profondi del sentire che fanno percepire la magia delle nostre esperienze umane. La magia dell’interconnessione tra esseri umani e la magia della trasformazione della nostra vita.